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Il Vangelo di oggi ha due temi molto importanti; la preghiera e la malattia. Ci viene presentata una giornata tipica di Gesù, fatta di insegnamento, cura dei malata e guarigione.
Gesù esce dalla Sinagoga, dove aveva guarito l’indemoniato, e fatto tacere il diavolo. Ricordiamo era di Sabato, ma questo non impedisce a Gesù, di guarire la suocera di Pietro, con una incredibile delicatezza, la prese per mano! Magari era andato alla casa di Pietro per un po’ di tranquillità! Poi alla sera, quando era finito il divieto di girare con i propri malati (perché era terminato il Sabato), tutti vanno da Gesù, a cercare guarigione.
All’ mattino Gesù, trova veramente quella tranquillità, trova veramente chi è, Figlio del Padre amato. Chi sa cosa gli diceva? Non è difficile immaginare, è quello che succede a noi quando incontriamo, una o più persone malate, cosa diciamo al padre? Adesso cosa succederà? Perché loro? Forse perché a me? Ci succede anche di affidarli al Padre. Chi sa quando Gesù parlava al Padre sulle persone che incontrava?
C’è anche un altro punto interessante. Gesù non lasciava che i demoni parlavano sulla sua identità. Non solo ai demoni Gesù non lasciava parlare, ma anche ai malati guariti. Tante volte Gesù dice “Vai, sei guarito, non dire a nessuno quello che ti è successo”! Perché questo? Perché l’identità di Gesù non si compie nelle guarigioni meravigliose, (questa era solo una parte della sua missione), non si compie negli spettacoli, non si compie neanche nella trasfigurazione.
Ma c’è un’altra sapienza che ci dice qualcosa sul senso della vita. Una cosa, all’inizio amara, che vogliamo evitare…è la sapienza della croce. Se vogliamo essere realisti, sinceri con noi stessi dobbiamo ammettere che la vita è anche fatta di sacrificio, malattia, morte! Questo ci spaventa molto, ed ad alcuni più di altri…io in prima persona.
Ma questo senso c’è! La malattia ci fa per un po’ fermarsi, pensare su quello che veramente conta, vedere quali sono le cose più importanti nella vita. Ci fa umili, essere dipendenti, non fare di una piccola cosa una tragedia. Quante volte facciamo una tragedia per piccole cose, solo perché il nostro “Orgoglioso e sensibile Io” si è offeso tanto tanto! Quante volte penso, quando sento di qualche litigio sulla eredità, “ma questi non sanno che con loro non portano niente”? “Come riescono a rovinare dei rapporti famigliari importanti per cose che fra un po’ di anni perderanno lo stesso”?
La malattia, ci da un altro beneficio ed e quello che ci apre al Signore. Quante volte quando siamo sani, ci pensiamo dei super uomini o donne. Quasi cominciamo a crede che da soli possiamo fare tutto, che non abbiamo bisogno di niente e di nessuno. La malattia ci da il potere di capire che da soli non facciamo un bel niente, ci apre agli altri e anche a Dio.
Quindi la soluzione della malattia non è solo il miracolo. Anzi per dirla meglio, il miracolo più grande è quando uno accetta la malattia, accetta di avere dei limiti, accetta la propria morte, diciamo fa la pace con la propria morte. Il miracolo più grande è quando uno riesce ad essere un testimone anche nella propria malattia. Questo non significa che non si sente più il dolore, non si piange, non si sente smarrito, ma è certo che Dio soffre con lui, gli è vicino.
Vi lascio queste parole di una lettera a un giovane sulla vita spirituale, di Henri J M Nuowen
I poveri e i malati hanno imparato davvero a conoscere Gesù e a vedere in lui il Dio che condivide le loro sofferenze. In Gesù che soffre e che muore essi trovano il segno più evidente che Dio li ama di un grande amore e che mai li abbandonerà. E loro compagno nella sofferenza. Se sono poveri, sanno che era povero anche Gesù; se hanno paura, sanno che aveva paura anche Gesù; se sono percossi, sanno che fu percosso anche Gesù; se sono torturati a morte, sanno che anche Gesù soffrì il loro crudele destino. Per essi, Gesù è l’amico fedele che percorre insieme a loro la via dolorosa della sofferenza e li conforta. È solidale con loro. Li conosce, li comprende e, quando più acuto è il loro dolore, li stringe a sé.